mercoledì 2 dicembre 2015

GEVREY-CHAMBERTIN. Applausi a bicchiere vuoto.

La scena è quella di un’enoteca. Pochi tavoli sulla sinistra, un paio di poltrone decò davanti ad un tavolo da fumo su cui campeggia un’enorme scacchiera.
Sulla destra la scaffalatura con le bottiglie per la vendita. Tante bottiglie. Alla vista, infinite.
Un uomo dall’età imprecisata è intento a consultare cataloghi di vini, seduto scompostamente su una delle poltrone. Ogni tanto allunga la mano ad afferrare un bicchiere posato sulla scacchiera in mezzo ai pedoni insieme ad una bottiglia. Lo sorseggia. E’ un vino rosso.
Entra una donna ben vestita, stretta in un impermeabile dal taglio strano, bianco, con lievi striature arancio. Un paio di tacchi da chiedersi come riesca a camminare con tale agio e una borsa bizzarra che la fa sembrare lo schizzo di uno stilista eccentrico, senza averne tuttavia le forme spigolose.

LEI “Buonasera, vorrei una bottiglia di Borgogna.”
LUI “Buonasera…….” 
La guarda per una durata di tempo immorale. In silenzio.
Dall’esterno si odono rumori di tuoni, la loro intensità diventa veemente. Di lì a breve forse pioverà.
LEI “Salve, come le dicevo, vorrei una bottiglia di Borgogna.”
LUI “Temo di non poterla aiutare.”
LEI “Non ne ha?”
LUI “Ne ho. E tuttavia credo che lei non se la possa permettere.”
LEI “Che cosa ha detto, scusi? Chi le dà il diritto di pronunciarsi con tanta maleducazione!”
LUI “Oh, non deve fraintendermi. Non alludevo certo ad una sua impossibilità pecuniaria. 
Lei, a ben guardarla, ha denaro sufficiente da comprarne quante ne vuole, e tuttavia non può permettersela.”
LEI “Non so se mi sconcerta di più la sua insolenza o la sua sfrontatezza. Arrivederci!”
LUI “Aspetti. Non se ne vada.”
LEI “Me ne vado eccome.”
LUI “Le ho detto di non andarsene.”
LEI “Di ciò che dice lei, francamente me ne infischio.”
LUI “Io ho una storia per lei e lei non se ne andrà!” 
LEI “Io vado dove mi pare BRUTTO STRONZO!”
Un tuono roboante.
LEI “……. mi scusi,  ho esagerato.”
LUI “Oh beh, ha ragione su tutto: sul fatto che lei possa andare dove le pare, sul fatto che io sia un gran bell’esemplare di stronzo, sul brutto poi… un assioma di assoluta verità. 
In ogni caso tutti abbiamo sempre bisogno di una storia, anche quando sembra di no.”
LEI “La smetta.”
LUI “La verità è che là fuori ha iniziato a diluviare e ad occhio e croce quelle scarpe costano parecchio di più del suo orgoglio. Mica le vorrà rovinare. Manolo?”
LEI “Non dica assurdità.  Louboutin!”
LUI “uuuuuuuuhhhhhhhh…”
LEI “Che cosa le prende adesso?”
LUI “La vita è un ingorgo bizzarro di coincidenze assonanti.”
LEI “Senta, adesso chiamo un taxi e tolgo il disturbo. Ho un appuntamento.”
LUI “Chiami chi la sta aspettando e dica che ritarderà.”
LEI “Non chiamerò proprio nessuno, se non il radiotaxi, e non ritarderò.”
LUI “…del resto lei è tanto considerevole da potersi far aspettare molto più a lungo di quanto non immagini.”
LEI “Stia zitto e ricordi che ho ancora uno “stronzo” in canna.”
LUI “Touché.  Si sieda, la prego. Prenda un bicchiere. Beva con me. E’ un vino di Borgogna che fa rima con le sue scarpe. Se ascolta la mia storia può averne una bottiglia.”
LEI “Stia zitto, non dica altre fesserie. Me ne vado da qui prima possibile.”
La donna prende dalla borsa il suo telefono e fa una chiamata. Sospira sconsolatamente, si siede e afferra il bicchiere che l’uomo le ha offerto.
LEI “Il mio taxi non arriverà prima di 42 minuti. Le concedo questi. Posso togliermi le scarpe?”
LUI “Sono scomode?”
LEI “Non ha idea di quanto.”
LUI “Perché le indossa allora?”
LEI “Che stupida domanda da uomo stupido! 
Scusi…….  
…..tanto valeva le rifilassi lo stronzo.”
LUI “Lo conservi, non si sa mai.”
LEI “…. perché sono LORO le più mirabili di tutte.”
LUI “Posso vederle da vicino?”
LEI “Cos’è, una specie di feticista?”
LUI “No, niente del genere. Solo curioso.”
LEI “Non può vederle, no. Mi racconti questa storia e facciamola finita.”
LUI “Lei è di una bellezza abbacinante.”
LEI “STRONZO!”
LUI “E con questa abbiamo finito le munizioni.”

Entra in scena una figura femminile apparentemente più giovane.
Veste in modo sfacciatamente essenziale un paio di jeans strappati, un maglione bianco con le toppe sui gomiti e insolite scarpe color carota.
Si appoggia allo scaffale dei vini e comincia a parlare.

Non aveva ancora finito gli esami che il professore con cui si sarebbe laureata, le propose uno stage di sei mesi in Borgogna, in un’azienda della Cote D’Or.
Accettò senza alcuna perplessità.
“Ma tu lo parli il francese?” le chiese l’assistente con l’intento di metterla in difficoltà difronte al suo superiore. La detestava. Dalla prima volta che aveva avuto a che fare con lei quando, in sede di esame, si era presentata ignorando del tutto l’aspetto tecnico della materia, l’unico veramente importante in quel settore, e nonostante ciò, era riuscita a strappare un ventotto, intortando quel vecchio tronfio con una manfrina legata alla storia, al medioevo, ai frati, alla letteratura. OCA..
“Neanche una parola!” rispose serafica, sorriso sfacciato, sguardo tagliente, ricambiando in toto l’odio per quel pezzo d’imbecille che sicuramente godeva più del fatto di poter dire in giro “sono l’assistente di”, di quanto non godesse a scoparsi la fidanzata. IDIOTA.
E così, una mattina presto d’inverno, ampiamente fuori corso, prese un treno, e poi un altro, e poi un altro ancora e infine un autobus che quasi a buio la scaricò proprio difronte alla statua di un uomo seduto e incappucciato di cui non si vedeva il volto. Pensò che non fosse un gran bel segno e tuttavia, alla sua maniera, era arrivata a Gevrey-Chambertin.
Il collaboratore dell’azienda per cui avrebbe lavorato la attendeva poco distante fumando Gitanes e riconoscendola nell’aria impacciata da italiana, mosso da un’ insolita, e inaspettata a quell’ora, cordialità francese, le andò incontro.
“Bonsoir Mademoiselle, Je suis Roland, Je suis ici pour vous, Je suis envoyé par M. Gilles Burguet.” 
“Oui” rispose. E non rispose altro che “oui” al soliloquio che Roland fece per tutto il tragitto, breve a dire il vero, che da quell’incappucciato distava al Domaine che l’avrebbe ospitata per i prossimi mesi. 
Oui oui oui oui. A ripetizione. Roland avrebbe sicuramente pensato che fosse un po’ tocca, ma tanto i francesi lo pensano lo stesso di tutti quelli che non son francesi. Pazienza. Domani avrebbe imparato una nuova parola e il giorno dopo altre due, e poi altre e altre, finché, come accadde, avrebbe parlato il francese in modo più soddisfacente di una diva su la Croisette. 
“Oui , je suis Catherine Deneuve” le sarebbe venuto meglio dell’originale, perdio!
Ad ogni modo, passò un sacco di tempo in mezzo a quelle vigne basse e imparò a riconoscere a colpo d’occhio filare per filare, e così, tanto per fare,  aveva dato un nome a ciascuno di quei muretti che circondavano le viti, curate con un’attenzione così maniacale che pareva di essere in una fabbrica giapponese, avendo un suo metodo personale di riconoscimento che chiamava in causa tutti i personaggi di fantasia o i concetti reali o fittizi, ma sempre a gruppi di sette. Samurai, Re di Roma, Meraviglie, Vizi Capitali, Sorelle. I muretti più sfigati facevano parte, ovviamente, del gruppo Nani.
Andò per mesi su e giù pedalando per il dipartimento con quella mountain bike nera e brutta e pesante che tuttavia Roland le aveva concesso in prestito con grande reticenza  e solo in cambio di una finocchiona, che si era fatta appositamente mandare da un amico toscano salumiere. 
Roland impazziva per la “finocchionà”. C’era poco da fare. 
Pedalava, fotografava, parlava in francese (ma solo quando ne aveva voglia), beveva, conosceva.
Non è dato sapere come,  ma imparò molto anche delle pratiche di cantina, più che altro osservando gli altri, perché pareva non capisse un accidente di quanto dicevano tra loro e, se interpellata, rispondeva spesso e volentieri “oui, oui, oui…” al che, tutti pensavano che dall’università italiana avessero mandato una stagista più tonta del solito.
E poi arrivò il giorno di tornare da dove era venuta. Andò da Roland a restituire quella ferraglia che lui si ostinava a chiamare mountain bike, ma lo fece solo in cambio di una bottiglia di pinot noir. Di quelle buone.

LEI intanto si è rimessa le scarpe e si alza dalla poltrona con il bicchiere in mano. Lo guarda, lo annusa, lo beve.
LEI: “ Il colore è troppo intenso per essere quello di un pinot. Del resto con i terreni su cui vivono le vigne che lo generano, tanto di meglio non si può ottenere. Per quanto le note olfattive siano tipiche di uno Chambertin, con richiami al ribes nigrum e al lampone, questo è ancora troppo giovane e porta con sé un carico da novanta di sentori terrosi; secondo me le uve sono state raccolte dalle vigne accostate al muretto “Accidia”. Quelle non hanno mai avuto granché voglia di darsi da fare.
La trama tannica tuttavia è impenetrabile e nobile. Sarebbe migliorato con il tempo, altroché, ma lei non ha avuto la pazienza di aspettarlo, e la spinta di questa polpa che adesso le esplode in bocca come un petardo, si sarebbe evoluta in un gioco pirotecnico che l’avrebbe lasciata senza fiato.
Ah… dica a Roland che è sempre stato un gran coglione e che il vino che mi ha rifilato per riavere quel cesso di bici era davvero una merda.”
LUI “Se lei sapeva, perché... ”
LEI “Perché anche quando sembra di no, tutti hanno bisogno di una storia, soprattutto se è la propria.
Il mio taxi è arrivato. La saluto.”
Posa il bicchiere ed esce. 
Dopo pochi secondi rientra concitata. Si dirige verso lo scaffale ed afferra una bottiglia con piglio sicuro.
LEI “Dimenticavo il mio vino.”

Vanessa Gabelli

*ogni riferimento a Tabucchi, Baricco e Grossman è fortissimamente, quanto indegnissimamente, voluto.


martedì 24 novembre 2015

Barbacarlo. Suggestioni di un pomeriggio autunnale

"Pronto?"
"Barbacarlo? Signor Maga?"
"Sì..."
"Sì, buongiorno, mi chiamo Vanessa Gabelli, la sto chiamando dalla Toscana, sono un sommelier, un ristoratore, in realtà sono soprattutto un'appassionata di vino e dato che domani sarò dalle sue parti, mi chiedevo, ecco, io mi domandavo se... se a lei facesse piacere e fosse così gentile... perché insomma per me sarebbe un onore conoscerla e poter acquistare qualcuna delle sue bottiglie... e in effetti, mi chiedevo se posso venire a trovarla perché sarebbe una bella occasione e anche un'opportunità e..."
"Sì, va bene."
"Va bene??!? Davvero va bene??! La ringrazio sa, grazie, grazie davvero! allora ci vediamo domani pomeriggio, dovrei arrivare intorno alle 16:00 forse 16:30.... L'indirizzo é questo qui che leggo sulla Guida? via Mazzini a Broni? Ce la trovo a quell'ora?...."
"Sì. Arrivederci."
Clic.
Comincia così. Con la mia logorrea inarrestabile contrapposta al suo dialogare misurato.
Io sono io, cioè nessuno.
Lui è Lino Maga, una leggenda del vino.
Broni è bagnata "quel giorno" da una pioggia insistente e tenace, avvolta da un grigiore nebbioso che satura l'aria.
Parcheggio l'auto neanche troppo vicino e come al solito sono senza ombrello.
La via è quella giusta, il numero civico pure, una vecchia insegna sbiadita inquadra la scritta Barbacarlo. Dietro ai vetri del punto vendita si intravedono bottiglie, tante bottiglie.
L'ora è quella stabilita. Io ci sono, ma lui non c'è.
All'interno tutto è silente, tutto è buio. Si sta facendo buio anche fuori.
Riprendo il telefono in mano e "Sí, pronto Signor Maga? Sono Vanessa Gabelli, si ricorda...l'ho chiamata ieri, sono qua fuori, davanti all'entrata, ma è tutto spento, non c'è nessuno... Forse ho sbagliato... Forse..."
"Le apro."
Pochi secondi e si accendono le lampadine gialle di un vecchio lampadario polveroso all'interno. Sembra tutto un po' impolverato in effetti...
"Prego, si accomodi" eccolo qua, con una sigaretta tra le dita.
"Mi scusi sa, ero in ufficio, sommerso dalla carte. Mi uccideranno le carte, mica queste" e tira sú la mano indicando la sigaretta.
Quello che ricordo del paio di ore successive all'apertura di quella porta è una storia dai contorni sfumati. Forse avrei dovuto registrare la conversazione nata da questo incontro fortunato, come tanti hanno fatto prima di me. Gente seria, preparata. Giornalisti. Professionisti del settore.
Io sono arrivata qui disorganizzata come sempre, neanche troppo informata sui vini e sul personaggio, avendo letto qualcosa certo, ma senza approfondire troppo, animata dalla  convinzione che la cosa più bella di questi eventi sia proprio la sorpresa che nasce dall'incognita priva di preconcetti.
Lino Maga è un uomo ottuagenario, un uomo pieno di silenzi, di sospensioni, circondato dal fumo delle sue MS, capace di una gestualità garbata che la penombra dell'ambiente inquadra in una scenografia quasi amarcord.
Mi parla delle peripezie legali affrontate nel corso di decenni per difendere la sua creatura, il suo Barbacarlo e di come ne sia uscito trionfante, lui semplice contadino (come ama definire se stesso) difronte a ciclopici enti e fondazioni.
Parla degli uomini importanti che hanno tanto amato il suo vino, politici, critici enogastronomici, personalità influenti sotto ogni punto di vista e me li indica nelle fotografie ingiallite. Lo fa con umiltà e incuranza, ma io mi faccio sempre più piccola sulla sedia.
È il suo un monologo teatrale intriso di garbo e di fumo, nel quale entrano spesso in scena i suoi vini, che assaggio di diverse annate senza un ordine apparente - sicuramente non quello che avrei dovuto adottare a rigor di degustazione- ma semplicemente perché quegli anni saltan fuori in maniera anarchica come i suoi ricordi.
“Assaggi questo. A me mi piace, mi pare di averlo fatto bene.
Quello dell’anno successivo mica tanto, ma io sono onesto, l’ho scritto in etichetta che quello non è adatto ad essere invecchiato… Del resto mica si può pretendere che i vini vengano bene sempre. Che vengano uguali. La natura è mutevole, come può non esserlo un vino”.
E avanti e indietro da un anno ad un altro, in un bizzarro saltatempo, in una decina, per lo meno, di assaggi di cui, ovviamente non ho neanche scritto un appunto di degustazione, perché oggi è andata così, oggi non sono un sommelier, sono una donna che ascolta un vecchio.
Magari un giorno tornerò in questa terra e farò le cose per bene, come si deve, ma oggi mi faccio sorprendere, mi faccio conquistare da questa vita asmatica. Mi viene da guardare quelle sue mani da viticoltore e mentre lui parla e tace, la mia testa è già altrove.
“Il bosco si era fatto troppo avanti.
Era inspiegabile come avanzasse tenacemente di anno in anno, uno tsunami di sterpaglie e rovi e intrichi e fogliame e vita verde che non si arrestava, arrestando invece il ciclo vitale delle vigne, che pian pian cedevano il passo a quel mostro vegetale aggrovigliato.
A ben pensarci, lavorare su quei pendii era diventato piuttosto complicato alla sua età e anche i mezzi, e le motivazioni per arrestare l’onda, erano a quel punto entrambi un po’ malconci.
Non che fosse vecchio, neanche si potesse misurare l’età con una questione puramente anagrafica, diciamo piuttosto che era avanzato.
Aveva fatto qualche passo, avanzando per tanto tempo in quella sua vita semplice da contadino dell’Oltrepò, ma che questo significasse esser vecchi era tutto da vedersi.
Pensò che c’era anche da risolvere la questione della Jeep del figlio, rubata e poi ritrovata con la tappezzeria intrisa di gasolio, probabile bottino di un furto mirato, dove quei figli di una donnina poco perbene, avevano oltretutto lasciato alcuni bossoli di arma da fuoco.
A nulla erano valse le spiegazioni e le giustificazioni che non fossero cose appartenenti al figlio.
I carabinieri avevano provveduto al sequestro dell’auto e all’emissione della multa per abbandono di munizioni. Così va la vita.
Non che la perdita, seppure temporanea, di quella carretta sgangherata e inaffidabile fosse poi così drammatica, ma c’era pur da muoversi a piedi per quei terreni ingrati ai reumatismi facendo attenzione a che il buio autunnale non fosse più rapido a venire, delle sue gambe.
Si accese un’altra sigaretta e guardando quelle vigne pensò a quanto fosse stato matto ad aver trascorso buona parte della sua vita a difenderle. Ripensò a tutti i soldi spesi per intraprendere battaglie legali degne di una campagna militare napoleonica. E alle vittorie, le sue.
Perché c’era qualcosa di profondamente giusto lungo le linee di quei filari, una giustizia chiamata dalla terra e sarebbe stata una gran puttanata non prestare ascolto a quel richiamo.”*

Vanessa Gabelli

*ogni riferimento a fatti riportati nel brano corsivo è frutto di pura fantasia

mercoledì 18 novembre 2015

Danze Della Contessa - Azienda Agricola Vitivinicola Bonsegna

Azienda:           Azienda Agricola Vitivinicola Bonsegna
Vino:                Danze Della Contesa Nardò Doc - Barricato
Vitigni:             Negroamaro 
                         con piccole quantità di Malvasia Nera di Lecce
Anno:                2012
Gradi:                14°
Fermentazione:  Con lieti selezionati
Affinamento:     Sei mesi in barriques 

E’ proprio vero, la nostra meravigliosa Penisola, non smette mai di stupirci. Tradizioni, culture e sapori sono gelosamente custodite da generazioni, regalandoci ogni volta stupende ed inattese sorprese. La Puglia non è sicuramente da meno dove cucina e vino sono protagonisti da secoli. Stiamo parlando della patria del Negroamaro, del Primitivo, dell’Uva di Troia, del Bombino Nero e Bianco, dell’ Aleatico, del Moscato Bianco, della Malvasia Nera di Brindisi e di Lecce e di tanti altri vitigni che danno vita, in questa terra baciata dal sole, a vini dal carattere deciso, corposi e dagli intensi profumi. Chiamata la Cantina d’Italia, la Puglia ha saputo in questi anni rinnovarsi grazie anche al grandissimo lavoro fatto dai produttori che, capendo il potenziale del proprio territorio e dei propri vitigni, hanno decisamente virato verso una produzione vinicola di qualità che finalmente sta dando i propri frutti, meritando la giusta e doverosa attenzione sul palcoscenico Italiano. Con il “nostro” Danze Della Contessa scendiamo a Nardò in provincia di Lecce dove l’Azienda Agricola Vitivinicola Bonsegna produce i suoi vini da cinquanta anni disponendo di quindici ettari vitati nelle contrade Cenate Vecchie, Nucci, Carignano e Speranza, dell'agro di Nardò, nelle quali, notoriamente, si producono uve (e vini) di ottima qualità. Azienda che ha saputo fare del Negroamaro, della Malvasia Nera di Lecce e del Primitivo i propri cavalli di battaglia, producendo vini di ottimo livello, valorizzando egregiamente il terroir di provenienza. Interessante notare, proprio nella zona di Nardò, una cospicua ed abbondante produzione del vitigno Garganega, non proprio tipico di queste parti, dove Moscato e Malvasia Bianca, completano la gamma delle uve coltivate. Proprio dalla potenza del Negroamaro nasce questo Danze Della Contessa, vino che è frutto di un'accurata selezione di uve sane e mature vendemmiate nella seconda decade di Settembre, provenienti da un vigneto di oltre trent'anni che produce non più di 80 quintali per ettaro. Inutile sottolineare che la vicinanza del mare e la struttura del terreno conferiscono a questa bottiglia di vino caratteristiche uniche rintracciabili solo nella DOC Nardò.
Di colore rosso rubino intenso, già dalle prime “olfazioni” è chiaro di trovarsi davanti ad un vino che non smetterà di stupirci fino a fine degustazione. Frutta rossa di buona maturazione, vegetale secco e mineralità sono le caratteristiche principali di questo vino. A completare però questa complessa gamma olfattiva, troviamo tutto quel terziario sicuramente dato dai sei mesi di barriques dove spezie, liquirizia e note di caffè sono eleganti e ben percettibili. Per i nasi più attenti non sarà difficile cogliere qualche nota di balsamico come il mentolato. In bocca il vino avvolge egregiamente il palato. Di buona struttura generale, questo Negroamaro con piccole quantità di Malvasia Nera di Lecce si presenta morbido e rotondo degnamente bilanciato da acidità, sapidità, e dalla nota tannica che di fatto rendono il vino equilibrato. In retro-olfattiva, torna prepotentemente la nota speziata. Pepe nero, cannella, ma anche chiodi di garofano, liquirizia, caffè, cioccolato e cuoio a sottolineare di come il passaggio in legno abbia reso questo vino un vero capolavoro, naturalmente per gli amanti di questo stile di produzione dove la barriques è stata “usata” con cognizione di causa.
Qui non vedo dubbi con quali pietanze accompagnare le Danze Della Contessa. Se servirete questa bottiglia di vino ad una temperatura di 18/20° non potranno mancare sulla vostra tavola grandi piatti a base di carni rosse, oppure di formaggi dalla lunga stagionatura. Qualunque sia il cibo con cui delizierete la vostra serata, scoprirete il sapore ed il calore della terra Pugliese.

Filippo Franchini

mercoledì 11 novembre 2015

"30 Denari" Bonarda Oltrepò Pavese Doc - Az. Agr. Brandolini Pietro

Azienda:            Azienda Agricola Brandolini Pietro
Vino:                 30 Denari – Bonarda dell’Oltrepò Pavese Doc
Vitigni:              Croatina 100%
Anno:                2012
Gradi:                13,5°
Fermentazione: Fermentato con lieviti selvaggi. Macerazione sulle bucce per almeno 8 giorni
Affinamento:   12 mesi in una botte costruita nel 1931 con legni di mandorlo e pesco ed in barriques di rovere francese

Se l’Oltrepò Pavese con i suoi vini spumanti metodo classico, è uno tra i poli più importanti per la bollicina Italiana, non sono certo da meno i suoi vini fermi, dove tradizione ed amore per la terra, rispecchiano fedelmente il terroir di appartenenza. Vicino ai classici vitigni per la spumantizzazione che hanno reso famosa questa parte di penisola, Croatina, Barbera, Riesling e tanti altri, hanno dato origine a tutta una serie di vini fermi di primissima qualità e di grande carattere. Ci troviamo a San Damiano al Colle in Provincia di Pavia, dove l’Azienda Agricola Brandolini Pietro coltiva le proprie uve e produce i propri vini con metodi tradizionali per avere un prodotto naturale e sincero, invecchiando le annate migliori in piccole botti di legno. E’ proprio questo stile inconfondibile a rendere i vini di questa zona nettamente riconoscibili, tramandando l’amore e la passione per questo lavoro, a chi oggi dirige l’azienda, con la consapevolezza di avere ereditato da nonno Pietro un qualcosa di veramente unico.
Unico come il vino che ho avuto la possibilità di degustare allo scorso Wine&Food Style di Cernobbio (CO) catturando la mia attenzione per lo strano nome, 30 Denari. Parlando con Riccardo, uno dei titolari dell’azienda insieme alla Sig.ra Vittorina la quale mi ha consigliato di degustare questo vino accompagnandolo con uno spiedino di frutta fresca (sono davvero curioso di fare questa curiosissima prova) ho scoperto la strana provenienza di questo nome. Lascio alle sue parole descrivere il perché dei 30 Denari.
Per tradizione vinifichiamo il Bonarda nella variante FERMA. Questo tipo di vinificazione è frutto della lavorazione artigianale che vogliamo mantenere per i nostri vini. Tuttavia, a volte, la natura 'tradisce' questa tradizione, dando un vino leggermente mosso che per questo prende il nome di '30 Denari'…. “
Di colore rosso granato intenso, questa Croatina in purezza, accarezza delicatamente il naso con sentori netti di bacche rosse selvatiche del sottobosco, intrigante tostatura,  accompagnata da tutta una serie di profumi terziari (cuoio, pelle e liquirizia tanto per intenderci) rendendo molto complesso il bouquet.  Di ottima struttura generale, il 30 Denari si fa sicuramente apprezzare per il suo gusto morbido, pieno e rotondo che di fatto avvolge tutto il cavo orale, non disprezzando di una buona sapidità e netta spalla acida rendendo il vino sicuramente bilanciato e ben equilibrato. E’ un vino davvero lungo, persistente, di grande spessore, e tutte queste qualità sono sottolineate nella retro-olfattiva dove le note di speziatura dolce, liquirizia e cioccolato (sono presenti anche eleganti note di caffè) concludono la degustazione di questo accattivante vino.
Terra che vai usanze che trovi. Non state tanto a pensarci con quali piatti abbinereste questo vino. E’ speciale con tutti i classici piatti della cucina dell’Oltrepò Pavese, con la selvaggina e con carni rosse di media cottura. Servitelo ad una temperatura di servizio di 18°C e godetevi tutto il sapore di una terra antica dalle mille tradizioni.

Filippo Franchini

martedì 27 ottobre 2015

Gran Cru "Lo Scordato" Igp - Casale Cento Corvi

Azienda:                      Casale Cento Corvi
Vino:                           Gran Cru “Lo Scordato” IGP
Vitigni:                        Trebbiano 100%
Anno:                          2013
Gradi:                          12,5°
Fermentazione:            Barriques di 1° passaggio in cella frigo
Affinamento:        12 mesi in barriques ed almeno un mese in bottiglia prima della commercializzazione

La prima curiosità che mi ha destato questo vino è stato il nome, Scordato! Sembrava quasi che il produttore, dimenticatosi di questa bottiglia in qualche anfratto della cantina, avesse ritrovato un prezioso nettare. Non so se le cose siano andate precisamente così, ma per quanto riguarda il prezioso nettare non ho assolutamente dubbi!
Ci troviamo nel Lazio, più precisamente nella zona di Cerveteri (Roma) dove l’azienda Casale Cento Corvi, produce i suoi vini. Azienda giovane, dinamica molto attenta agli standard qualitativi, coltiva i propri vigneti in un microclima molto particolare. Se da un lato le colline rappresentano una vera barriera contro il freddo ed il vento, la vicinanza del mare offre la possibilità di un clima mite e particolarmente adatto alla coltivazione dell’uva. Gli stessi Etruschi individuarono questa zona come una delle migliori per la produzione di vino con numerosi reperti a testimonianza di questa antica attività. Non da meno è la conformazione del terreno. Molto sciolto con alto contenuto di scheletro e di calcare attivo che di fatto caratterizza tutti i vini prodotti dall’azienda dando una precisa impronta ad ogni bottiglia, legata a doppio filo con il territorio di appartenenza.  Tra la gamma di vini prodotta dall’azienda Casale Cento Corvi (da non dimenticare il Ghiacchè rosso e passito ottenuto da uve Giacchè in purezza) una nota di merito va sicuramente al Gran Cru “Lo Scordato” ottenuto da sole uve Trebbiano con un procedimento assai particolare conferendo a questa bottiglia di vino una carta d’identità unica nel suo genere. La curata selezione delle uve raccolte nel momento migliore per la vendemmia (vedi foto), la fermentazione in barriques, il riposo sulle fecce fini “mescolato” di tanto in tanto attraverso betonnage ed infine affinato per un anno ancora in barriques, conferiscono al vino note particolari, che fanno di questo prodotto una vera sorpresa.

Di colore giallo dorato intenso, questo Trebbiano in purezza stupisce per una gamma olfattiva fine ed elegante. Tanti profumi si liberano nel bicchiere a testimonianza che siamo di fronte ad un vino davvero complesso. La nota fruttata (ananas, banana, frutta tropicale in genere) è quella che per prima arriva al naso, lasciando poi il posto a profumi agrumati (specialmente la buccia di arancia essiccata), spiccata mineralità, mandorla tostata, camomilla ed un delicatissimo profumo di miele che chiude elegantemente il bouquet olfattivo. Se al naso è già una bella rivelazione, lo Scordato si fa degnamente apprezzare anche alla fase gustativa. Di buona struttura generale anche se volutamente non troppo alcolico, bilancia ottimamente le sue parti. Se da un lato morbidezza ed avvolgenza, farebbero pensare ad un vino troppo segnato dal passaggio in legno, spiccata spalla acida ed una sapidità che in certi casi sfiora il “saporito”,  rendono questo vino piacevolmente equilibrato, lasciando una bocca fresca e ben bilanciata, invitando anche il più esigente degustatore a berne un altro bicchiere. La chiusura leggermente amarognola che di fatto smorza la piacevolissima morbidezza, completa questa fase degustativa.
In retro-Olfattiva tornano nette le delicate ed accattivanti note di camomilla e miele e cosa più curiosa, tutto il sapore del mare rimane sulle labbra ormai asciutte segno di una sapidità netta e ben distinguibile.
Come abbinare questo Trebbiano in purezza sicuramente di grande interesse? Devo ammettere di averci pensato un po’ e dopo essermi confrontato con Costantino, Responsabile di Produzione dell’Azienda Casale Cento Corvi, abbiamo convenuto che per la tipologia del vino siano necessari piatti molto elaborati a base di crostacei oppure piatti a base di carni bianche evitando rigorosamente ogni salsa o condimento a base di pomodoro. Servitelo ad una temperatura di servizio di 10°C e godetevi la bontà del territorio Cerite.

Filippo Franchini

giovedì 17 settembre 2015

Torbato Alghero Doc - Sella & Mosca

Azienda:                     Sella & Mosca
Vino:                          Torbato Alghero Doc
Vitigni:                       Torbato 100%
Anno:                         2014
Gradi:                         11,5°
Fermentazione:           Fermentazione a temperatura controllata   
Affinamento:              -

Con le vacanze ormai alle spalle, è tempo di riprendere il nostro viaggio per l’Italia come sempre accompagnati da ottime bottiglie di vino, fedeli compagne di momenti speciali.
Devo l’assaggio di questa bottiglia ad un carissimo amico, che di ritorno dalle vacanze svolte in Sardegna, me ne ha fatto gentile omaggio. Ci troviamo ad Alghero, provincia di Sassari, situata a nord-ovest della Sardegna. Alghero non è solo una famosa località turistica, ma anche terra di vino dove il vitigno Torbato, ha trovato il suo habitat naturale. Introdotto in Sardegna durante la dominazione Spagnola (il Torbato è di origine Iberica, dalla buccia sottile con maturazione tardiva che spesso lo rende fragile sia alle malattie che ai capricci del tempo), si è diffuso velocemente anche in Francia, ma è proprio in Italia che il Torbato ha scritto la propria storia con Alghero degna testimone di questo successo. Lo sviluppo e la produzione di questo vitigno lo si deve all’azienda Sella & Mosca, che negli anni ha saputo sapientemente sfruttare questo territorio esaltando le qualità del Torbato, vitigno poco conosciuto ma di sicuro interesse. Proprio il territorio è sicuramente l’arma vincente. Le viti sono allevate su terreni ricchi di calcare formatesi nei millenni da lente ma inesorabili sedimentazioni marine. Attualmente l’azienda, unica al mondo a vinificare il Torbato in purezza, ne produce in quattro diverse tipologie: Terre Bianche Doc Alghero, Terre Bianche Cuveè 161 Doc Alghero, Torbato Spumante Brut ed infine il Torbato Doc Alghero, quello che ho avuto il piacere di degustare.  
Di colore giallo paglierino chiaro con delicati riflessi verdognoli, intriga già dalle prime olfazioni, definendo profumi sottili e ben distinguibili. Aromi agrumati e floreali sono netti e delicati, dove limone, cedro, e pompelmo sono i primi ad essere ben riconoscibili. Chiude la gamma olfattiva una bella nota minerale, con note lievemente salmastrate sicuramente derivanti dalla vicinanza del mare. Anche la parte gustativa è una piacevole sorpresa. Sicuramente questa bottiglia di Torbato gioca molto sulla freschezza e sull’acidità, ma non vi fate ingannare, nonostante il suo grado alcolico contenuto, ha una discreta persistenza, dal corpo non troppo robusto si lascia degnamente apprezzare per la piacevole bevibilità. La chiusura è leggermente amarognola ricordando molto la mandorla. In retro-olfattiva tornano piacevolmente le note citriche e quelle di “mare”, lasciando davvero un’ accattivante sensazione di freschezza.
Questo Torbato è ottimo come aperitivo, per accompagnare fritti misti di verdure come zucchine e cipolla rossa di Tropea. Ma credetemi, provatelo anche con involtini a base di prosciutto cotto oppure di Mortadella, le caratteristiche del vino accompagneranno elegantemente queste pietanze. Dimenticavo la temperatura di servizio. Servitelo rigorosamente a 8°C e lascatevi conquistare dalla sua freschezza, sarete costretti a berne molti bicchieri!!!!

Filippo Franchini

mercoledì 2 settembre 2015

La Signora del vino calabrese che fa incetta di premi all’estero

«I miei figli? Greco e Magliocco, vitigni autoctoni che ho riscoperto tra le tante varietà ereditate da mio padre.Quando ho iniziato a occuparmi dell’azienda ho selezionato le marze, eseguito delle microvinificazioni e scelto l’uva più ricca di gusto e di profumi, affidandomi solo alle mie sensazioni». Lidia Matera ha scelto bene. I suoi vini prodotti in provincia di Cosenza, da un terroir particolare per posizione geografica, composizione del suolo e clima, da anni ricevono premi e riconoscimenti. L’ultimo, qualche giorno fa: due medaglie di bronzo con i rossi del 2013 Cariglio ((Magliocco dolce, Magliocco canino 100%) e Ipazia (Nerello cappuccio e mascalese 100%) al Decanter World Wine Awards 2015, tra i più importanti concorsi vinicoli a livello mondiale, al quale hanno partecipato 16mila etichette da tutti i continenti.

La saudade dell’agronoma
La Tenuta Terre Nobili è a Montalto Uffugo ed è una delle 60 aziende vitivinicole della provincia cosentina, tutte di alta gamma. Un vasto appezzamento (36 ettari) tra Sila e mare, molto argilloso, coltivato già negli anni ’60: il padre di Lidia, un ingegnere appassionato di agricoltura, allevava vitigni tipici del luogo insieme ad altre varietà. E alberi da frutto, compreso un uliveto. «Tra Sangiovese e Gaglioppo qui c’era di tutto – ricorda Lidia – per questo ho dovuto selezionare le viti, prediligendo quelle autoctone». Nonostante il disappunto della famiglia, l’imprenditrice calabrese studia Agraria a Bologna: il liceo classico frequentato a Cosenza non la spinge verso studi umanistici. Lavora nell’entroterra emiliano come tecnico per un’associazione di produttori agricoli, redigendo piani di concimazione, stabilendo tecniche di potatura e innesti. Ma agli inizi degli anni Novanta vuole tornare: la “saudade” è irresistibile.
Tradizione, innovazione e vendemmia notturna
Lidia è un’agronoma esperta e tutte le competenze acquisite a Bologna («compresa quella di girare i tortellini sul mignolo», dice scherzando) le rivolge alla sua tenuta. Fa parte di quel 30% di donne che guida in Italia aziende vitivinicole (sono 115 mila e il 70% produce vini Doc o Docg), mostrando un profondo attaccamento alla terra e alle proprie radici. Lidia si insedia e rinnova i vigneti e gli impianti, acquista attrezzature, ristruttura i fabbricati. E’ una rivoluzione che conduce con determinazione ed entusiasmo: per la selezione dei vitigni ricorre alla microvinificazione, una tecnica propria dei centri di ricerca, che lavora su piccoli volumi. Di fatto una simulazione, che consente di scegliere le viti da propagare e di valutare l’attitudine enologica dei vitigni.
Qui è ammessa tutta la tecnologia possibile, purché si rispetti l’uva – puntualizza Lidia Matera – per questo, ad esempio, la raccogliamo di notte, vogliamo che arrivi fresca in cantina. Anche questa è una scelta tecnica». La vendemmia notturna infatti, tra i 18 e i 20 gradi di temperatura, evita la fermentazione dell’uva durante il trasporto, consentendo poi un raffreddamento più rapido (e dunque un considerevole risparmio energetico) prima della pressatura, ideale a 10, 12 gradi per mantenere intatto il patrimonio aromatico delle uve. Sulle viti vengono eseguiti 44.000 interventi di sfogliatura, sull’uva le analisi sensoriali più accurate. Anche sull’odore delle bucce, la consistenza della polpa, il gusto dei vinaccioli, «che mi dice che la pianta è pronta quando hanno il sapore del cioccolato».
Donna imprenditrice contro i pregiudizi
La mentalità del posto è stata a lungo ostile a Lidia: «Una donna imprenditrice qui viene difficilmente considerata come un caposquadra», spiega. Ma non si è mai arresa: «Quando mi dicevano che quello che chiedevo io non si poteva fare, li mettevo di fronte all’evidenza: facevo tutto da sola, pretendendo però che mi guardassero». Dopo la morte del padre, ha formato un nuovo team e ora tutti le riconoscono il ruolo. «In 20 anni siamo passati da 8mila a 80mila bottiglie, pochi dipendenti fissi, molti stagionali, in genere sempre gli stessi. Siamo ancora piccoli, ma non vogliamo sacrificare la qualità del prodotto. Ho contenuto i prezzi e scelto le bottiglie più belle: volevo che il mio vino fosse bevuto, circolando nelle enoteche e nella media e alta ristorazione». Adesso i suoi rossi Teodora (Nerello cappuccio e Mascalese 100%, invecchiato in barrique per 24 mesi), Cariglio, Alarico (Nerello cappuccio e mascalese 100%, 5 mesi in barriques), Ipazia, il rosato Donn’Eleonò (Nerello 50%, Magliocco 50%) e il bianco Santa Chiara (Greco 100%), sono apprezzati al Nord e anche all’estero.
Premi internazionali e un sogno per il futuro
E ricevono premi internazionali e menzioni d’onore: Alarico 2012 è stato Second Best Red Wine alla rassegna “Sense of Wine” di Roma; Cariglio 2010 medaglia d’argento al Concorso Mondiale di Bruxelles; Teodora 2010 miglior vino rosso d’italia secondo l’esperto Luca Maroni; Santa Chiara 2010 Encomio particolare al Decanter World Wine Awards del 2012, per citarne solo alcuni. Una grande soddisfazione per una donna che ha fatto della propria azienda una ragione di vita: «Sono fiera del mio percorso. E’ stata una scelta d’amore verso un progetto che condividevo con mio padre. Ho avuto il coraggio di sognare come lui mi ha insegnato». Lidia oggi è una donna di successo, piena di amici che raduna ogni domenica intorno alla sua tavola. Dicono che la sua cucina sia insuperabile, perfetta fusion emiliano-calabrese. «Sono una donna felice – ammette – ma lo sarò ancora di più quando vedrò i miei nipoti, che vivono e studiano a Bologna, dedicarsi con amore a questa terra».
Fonte:  http://food24.ilsole24ore.com/
Filippo Franchini

martedì 4 agosto 2015

Costa da’ Posa di Volastra Doc - Cantina Cinque Terre

Azienda:            Cantina Cinque Terre
Vino:                 Costa da’ Posa di Volastra Doc - VQPRD
Vitigni:              Bosco 70%, Albarola 20%, Vermentino 10%
Anno:                2014
Gradi:                13°
Fermentazione: Fermentazione a temperatura controllata in vasche di acciaio inox 
Affinamento:     Circa cinque mesi sui propri lieviti

Molto spesso sentiamo parlare di “viticoltura eroica” ma in questo lembo d’Italia che tutto il mondo ci invidia, è diventata un vero e proprio stile di vita, una battaglia tra uomo e natura per “rubare” anche piccoli pezzi di terra dove coltivare vite nel pieno rispetto dell’ambiente e della natura circostante. Lo splendido ed emozionante palcoscenico è quello delle Cinque Terre, dove uomo e natura hanno trovato il giusto compromesso dando origine a vini dai sapori, dagli aromi sicuramente inconfondibili. La conformazione di queste straordinarie colline che si affacciano a picco sul mare, riescono ad esaltare le caratteristiche dei tre vitigni principe di questa zona; Il Vermentino, il Bosco e l’Albarola da cui si ottengono vini dalle diverse caratteristiche ognuno dei quali espressione della zona (chiamiamola pure particella) di produzione. La descrizione di questo meraviglioso paradiso, preferisco lasciarla a chi ogni giorno lotta con le avversità del clima, del terreno degli agenti atmosferici, ma che con amore e devozione riesce a portare sulle nostre tavole prodotti di alta qualità.


I vigneti sono piantati nelle caratteristiche terrazze create con terreno di riporto e sostenute con muri a secco costruiti dall’uomo con un lavoro secolare. Essi arrivano ad un’altezza massima di un metro e talvolta anche solo si cinquanta/sessanta centimetri dal suolo, i pergoli sono così protetti dall’inclemenza dei venti primaverili. Il terreno facilmente permeabile all’aria marina, al calore ed all’acqua. Il clima mite al riparo dai rigori settentrionali. La felice esposizione al sole e le pietre stesse dei muri a secco riflettono il calore dei raggi solari così da accelerare la maturazione delle uve. Tutti questi ingredienti, insieme all’opera dell’uomo, rendono leggendaria la fama del vino delle Cinque Terre…”

La Cooperativa Agricoltura Cinque Terre conta trecento soci coltivatori, operando in senso comunitario per il mantenimento e la protezione di questo incantevole paesaggio e per la valorizzazione del vino delle Cinque Terre. Il vino che ho avuto il piacere di degustare è il frutto di vinificazioni separate provenienti da alcune zone storiche da sempre ritenute di particolare vocazione, prendendo in gergo il nome di vini delle “Coste”. Ve ne sono di tre zone: Costa de Campu di Manarola, Costa de Sera di Riomaggiore e appunto il nostro Costa da Posa di Volastra. Questi tre diamanti rappresentano il risultato di un’attenta selezione delle uve esaltando i vari microclimi e la diversità del terreno stesso.
Di colore giallo paglierino dai bellissimi riflessi verdognoli, questo bland già dalle prime olfazioni stupisce per finezza ed eleganza. Tanti profumi avvolgono delicatamente il naso. Fiori di campo, acacia, ginestra, sono i primi ad essere avvertiti seguiti poi da netti sentori di frutta tra cui limone e pompelmo. Ma quello che più colpisce in questo articolato bouquet è la sensazione di iodio, di sale marino, di minerale, che di fatto caratterizzano questo meraviglioso vino. Profumi molto persistenti e gradevolmente amalgamati. Anche alla gustativa non tradisce. Di buona struttura generale, acidità e sapidità rappresentano le vere e proprie caratteristiche di questa bottiglia. Il vino sembra davvero essere “saporito” e la netta spalla acida ne fa apprezzare tutta la sua freschezza, lasciando la bocca piacevolmente pulita e pronta per berne un altro bicchiere. 

La chiusura leggermente amara completa questa fase di degustazione. In retro-olfattiva le note “di mare” tornano prepotentemente alla ribalta e la mineralità di questo vino esplode in tutto il suo splendore. Sicuramente persistente lascia una nota molto saporita sulle labbra. Con quale piatto abbinare questa particolare bottiglia di vino? Abbiamo detto che siamo di fronte a tanta acidità e sapidità, buon corpo, accompagnato da un discreto grado alcolico. Sicuramente eviterei pietanze con il pomodoro e cotture al sale. Proviamoci una bella frittura mista di pesce oppure un bel branzino al forno accompagnato da tante erbette aromatiche per rendere più sfizioso il piatto. Mi raccomando la temperatura di servizio. Servitelo a 8°C ne apprezzerete tutte le caratteristiche sopra descritte. 

Filippo Franchini